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CRISTO SI E' FERMATO A EBOLI

E' un romanzo autobiografico dello scrittore Carlo Levi scritto tra il dicembre del 1943 e il luglio del 1944 a Firenze e pubblicato da Einaudi nel 1945.

Sotto il regime fascista, negli anni 1935-1936, lo scrittore fu condannato al confino in Lucania a causa della sua attività antifascista e trascorse un lungo periodo in Basilicata, ad Aliano (che nel libro viene chiamata Gagliano imitando la pronuncia locale), dove ebbe modo di conoscere la realtà di quelle terre e della sua gente. Al ritorno dal confino Levi, dopo aver trascorso un lungo periodo in Francia, scrisse il romanzo nel quale rievoca il periodo trascorso a Gagliano e quello precedente a Grassano. Lo stesso Levi scrive nella sua prefazione: "Come in un viaggio al principio del tempo, Cristo si è fermato a Eboli racconta la scoperta di una diversa civiltà. È quella dei contadini del Mezzogiorno: fuori della Storia e della Ragione progressiva, antichissima sapienza e paziente dolore. Il libro tuttavia non è un diario; fu scritto molti anni dopo l'esperienza diretta da cui trasse origine, quando le impressioni reali non avevano più la prosastica urgenza del documento".
Rocco Scotellaro ha scritto: "Cristo si è fermato a Eboli è il più appassionante e crudele memoriale dei nostri paesi".

LA TRAMA

Levi, lasciato Grassano, prima tappa del suo confino, racconta di essere giunto a Gagliano in un pomeriggio di agosto accompagnato da "due rappresentanti dello Stato, dalle bande rosse ai pantaloni e dalle facce inespressive" provando un grande dispiacere per aver dovuto dire addio a quelle terre.
Arrivato a Gagliano egli viene "scaricato e consegnato al segretario comunale" e, dopo essere stato presentato al segretario comunale e al brigadiere, rimane solo in mezzo alla strada. Per Levi, il primo impatto è molto brusco: una prima occhiata lo convince che i tre anni di confino che avrebbe dovuto trascorrere in quel luogo sarebbero stati molto lunghi e oziosi e l'immagine del paese, così chiuso e sperduto, suggeriscono subito alla sua mente l'idea della morte.
Dopo aver osservato il paese egli si avvia verso quello che sarà il suo primo alloggio indirizzato dal segretario la cui cognata, rimasta vedova, aveva una camera che affittava ai rari viandanti di passaggio e che si trovava a pochi passi dal municipio. Dalla vedova verrà in seguito a conoscenza di molte cose riguardo al luogo e alla gente che abita il paese.

Durante la sua prima passeggiata conosce il podestà Magalone e i due medici del paese, Gibilisco e Milillo, che, pur esercitando quella professione, non ne sono validi rappresentanti. Non volendo mettersi in competizione con i due "medicaciucci", come venivano definiti in paese Milillo e Gibilisco, Levi si sentirà spesso angosciato ogni qualvolta gli verrà richiesto un parere medico perché sente che l'ingenua fiducia di quei contadini che si affidano a lui "chiedeva un ricambio" ed egli, pur potendo contare su una sufficiente preparazione di studi, non aveva la pratica e la sua mentalità era molto lontana da quella scientifica "fatta di freddezza e di distacco".
Fra le persone che conosce in quei giorni ci sono don Trajella, il parroco del paese ormai rassegnato agli atteggiamenti miscredenti e superstiziosi dei contadini, e donna Caterina Magalone, sorella del podestà.
A spezzare la monotonia di quei lunghi giorni sarà l'arrivo della sorella Luisa che gli porta alcuni medicinali e strumenti per poter curare i contadini del luogo incoraggiandolo e consigliandolo.
Nella ricerca della solitudine, l'unico luogo che Carlo Levi trova è il cimitero, posizionato poco fuori dal paese. Qui egli suole sdraiarsi sul fondo di una fossa per contemplare il cielo e lì si addormenta con il cane Barone ai suoi piedi. Il cimitero è anche l'unico posto dove il paesaggio rompe la sua monotonia. È qui perciò che Levi prende l'abitudine di dipingere, spesso sorvegliato da un carabiniere mandato dal troppo prudente podestà.
Dopo aver soggiornato per venti giorni a casa della vedova, egli si trasferisce in quella che era stata la casa di don Rocco Macioppi, il precedente parroco di Gagliano; in questo luogo Levi si trova a proprio agio, soprattutto grazie al fatto che la casa è situata nella parte esterna del paese, lontano dagli sguardi inquisitori del podestà.


Si presenta il problema di trovare una donna per fare le pulizie, prendere l'acqua alla fontana e preparare da mangiare.
« Il problema era più difficile di quanto non credessi: e non perché mancassero donne a Gagliano, che anzi, a decine si sarebbero contese quel lavoro e quel guadagno. Ma io vivevo solo... e nessuna donna poteva perciò entrare, da sola, in casa mia. Lo impediva il costume, antichissimo e assoluto, che è fondamento del rapporto fra i sessi ».
Donna Caterina gli risolve il problema trovandogli come domestica, Giulia, una delle tante "streghe" di Gagliano, ovvero una di quelle donne che avevano avuto più figli da uomini diversi e che praticavano delle specie di "riti magici".

Dopo tre mesi di permanenza a Gagliano giunge da Matera il permesso di poter trascorrere alcuni giorni a Grassano, la sua precedente residenza, per sistemare alcuni effetti personali. Qui Levi torna indietro con la mente e con i ricordi, rincontra i vecchi amici ed assiste ad uno spettacolo di attori girovaghi dopo aver ottenuto il permesso di uscire alla sera dal dottor Zagarella, podestà di Grassano. Ma "i pochi giorni di Grassano" passano in fretta ed egli deve ripartire per ritornare nella solitudine Gaglianese.
« Una mattina presto, con un tempo grigio e incerto, l'automobile mi aspettava davanti alla porta. Salutato rumorosamente da Prisco e dai suoi figli e da Antonino e Riccardo, dissi addio a quel paese, dove non sono tornato più » .
Ormai l'inverno è alle porte, le giornate si accorciano ed il clima peggiora. Con l'inverno giunge anche Natale e con questo un fatto increscioso: il parroco, don Trajella, pronuncia la messa natalizia ubriaco, o fingendo di essere tale, simulando inoltre la perdita della predica ed il ritrovamento "miracoloso" di una lettera spedita da parte di un contadino partito volontario per la guerra in Abissinia, contenente i saluti per tutto il paese. L'evento non suscita l'approvazione del podestà Magalone, che fa successivamente in modo di cacciare il buon parroco.

Un altro evento che suscita molto interesse nel paese è l'arrivo del sanaporcelle, erede dell'antica tradizione familiare di togliere le ovaie alle scrofe per farle ingrassare bene e di più.
Arriva la fine dell'anno.
« Così finì, in un momento indeterminabile, l'anno 1935, quest'anno fastidioso, pieno di noia legittima, e cominciò il 1936, identico al precedente, e a tutti quelli che sono venuti prima, e che verranno poi nel loro indifferente corso disumano. Cominciò con un segno funesto, una eclisse di sole ».
Verso aprile riceve un telegramma che gli annuncia la morte di un parente e la questura lo autorizza a recarsi, ben scortato, per pochi giorni a Torino. Egli vede, in questa occasione, la città con occhi nuovi: guarda con distacco amici e parenti, rendendosi conto che la sua esperienza meridionale lo aveva cambiato profondamente sia nei modi di fare sia interiormente.
Al suo ritorno in Lucania lo aspettano alcune novità, tra le quali la scomparsa di Giulia, la sua domestica, a causa della gelosia dell'attuale compagno e l'arrivo del sostituto di don Trajella, allontanato a causa degli avvenimenti natalizi.
Qualche tempo dopo, in mezzo all'euforia fascista per la conquista dell'Etiopia ed al dispiacere dei contadini, Levi riceve la liberazione dal confino e, con la descrizione del suo viaggio in treno, termina il romanzo.
« Ma già il treno mi portava lontano, attraverso le campagne matematiche di Romagna, verso i vigneti del Piemonte, e quel futuro misterioso di esili, di guerre e di morti, che allora mi appariva appena, come una nuvola incerta nel cielo sterminato ».



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